Esiste un divario significativo nel modo in cui i dirigenti e i dipendenti vedono i progressi verso la cultura della parità all’interno delle loro aziende. Colmare tale gap produrrebbe vantaggi considerevoli per le aziende e i dipendenti, specialmente per le donne. Sono queste le principali evidenze emerse dal nuovo studio di Accenture “Getting to Equal 2020”.
L’indagine ha coinvolto oltre 30.000 professionisti e oltre 1.700 dirigenti, uomini e donne, distribuiti in 28 paesi tra cui l’Italia, e continua il percorso tracciato nella passata edizione di analisi della cultura delle pari opportunità sul luogo di lavoro come efficace moltiplicatore di innovazione e crescita.
Lo studio di quest’anno ha rilevato che le aziende oggi si trovano a un punto di svolta: i dipendenti tengono sempre di più alla cultura aziendale e ritengono che essa sia fondamentale per aiutarli a progredire sul lavoro secondo il 77% delle donne e il 67% degli uomini (l’81% e il 77% per quanto riguarda l’Italia), e la maggioranza dei dirigenti (68% e 84% del campione in Italia) ritiene che una cultura aziendale inclusiva sia indispensabile per il successo della propria attività.
Allo stesso tempo, tuttavia, tra i due gruppi è presente un divario di percezione: il 68% dirigenti a livello mondiale ritengono di avere creato un ambiente favorevole all’empowerment (dato che arriva al 75% per il nostro Paese) in cui il personale prova senso di appartenenza, ma solo un terzo (36% e 35% per l’Italia) dei dipendenti è d’accordo. Inoltre, la percentuale di dipendenti che non si sentono inclusi all’interno della propria azienda è dieci volte superiore a quanto credono i dirigenti (rispettivamente 2% e 20%). Per l’Italia, il dato è pari al 19%, mentre nessun dirigente ritiene che esista un fenomeno di esclusione nella propria azienda.
La maggior parte dei dirigenti, inoltre, colloca la diversità e una cultura aziendale inclusiva in basso nell’elenco delle priorità, ponendo ai vertici delle proprie attività la performance finanziaria e l’innovazione, rispettivamente 76% e 72% (82% e 63% per l’Italia) e solo il 34% (25% in Italia) ha assegnato alla diversità il gradino più alto del podio. Molto pochi (21%) anche i dirigenti che mettono per prima la cultura inclusiva, il 16% per il nostro Paese.
“La creazione di una cultura della parità deve essere in cima alle priorità aziendali. Bisogna iniziare con l’approcciare la diversità non solo come la cosa giusta da fare, ma come un’esigenza imprescindibile alla stregua di qualunque altra priorità strategica. Quando si dà priorità a una cultura aziendale forte e paritaria, tutti ne traggono vantaggio e ne consegue una maggiore innovazione e crescita per le organizzazioni”.
Julie Sweet, CEO di Accenture.
Allineare la percezione dei dirigenti a quella dei dipendenti produrrebbe enormi vantaggi. Tutti, uomini e donne, farebbero progressi più rapidi e gli utili aziendali aumenterebbero di circa 3.700 miliardi di dollari a livello globale.
Se il divario venisse dimezzato:
E le aspettative dei dipendenti sono destinate ad aumentare: è emerso infatti che in termini percentuali la Generazione Z è più interessata ad una cultura aziendale inclusiva rispetto ai baby boomer (rispettivamente 75% e 64%)
Lo studio ha individuato inoltre una piccola percentuale di dirigenti (il 6%) definiti “Culture Makers”, che dimostrano un maggiore impegno nel portare avanti una cultura della parità. Questi dirigenti riconoscono l’importanza di alcuni fattori come la trasparenza delle retribuzioni, il congedo per motivi familiari e la libertà di essere creativi nell’aiutare i dipendenti a progredire.
I “Culture Makers” hanno dimostrato una maggiore inclinazione ad esprimersi sulla parità di genere (52% a fronte del 35% di tutti i dirigenti) o ad avere nel proprio organico un maggior numero di donne.
La ricerca ribadisce che una leadership coraggiosa, un’azione concreta verso l’inclusione e un ambiente stimolante dei dipendenti sono capisaldi comprovati per la creazione di una cultura delle pari opportunità e fornisce alcune direttive pratiche: