Articolo di Ilaria Salzano
«Quest’emergenza non è stata un remote working, né uno smart working, ma un extreme working». Sembra un grido di allarme, ma non è così. Almeno non è semplicemente una lamentela. All’inizio della fase 2, Valore D – prima associazione in Italia (su 215 oggi) ad aver promosso l’equilibrio di genere e la cultura inclusiva per la crescita delle aziende – mette sotto i riflettori quanto accaduto in piena pandemia: protagoniste proprio “le donne al volante” di reparti aziendali rimasti sempre aperti, per legge da remoto. Raggiungibili in chat, via mail, in cali conference anche da casa hanno saputo supportare l’azienda senza battere ciglio. Nonostante fossero barricate tre le mura domestiche e avessero sulle spalle un peso familiare raddoppiato, senza aiuti esterni di alcun tipo. Un lieto fine in tutto questo c’è? Sì. Le manager di oggi, in parte riapprodate in ufficio, hanno potuto dimostrare una marcia in più. «La cura, la gestione della casa e della famiglia hanno messo parecchio in difficoltà le lavoratrici – ha commentato Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D -: tra le 1.300 donne che hanno risposto a una nostra indagine, oltre la metà già abituate a lavorare in modalità agile, 1 su 3 ha lavorato più di prima, faticando a mantenere un equilibrio tra vita professionale e domestica». Un lavoro estremo, dunque, secondo Falcomer, fatto di fatica fisica ed emotiva.