Articolo di Simona Ciotti
L’emergency working ha consolidato in maniera repentina le basi dello smart working, che in Italia faticava a decollare. Ma il “lavoro agile”, per funzionare sulla lunga distanza, deve rientrare in una progettualità aziendale completa. Ovviamente non si è implementato lo smart working in modo completo e ben costruito, non ce n’è stato il tempo, ma il lavoro da re moto è stata la misura che ha permesso di rispettare le limitazioni dovute all’emergenza sanitaria e, contemporaneamente, ha assicurato la continuità del business.
I dati di una seconda indagine – sempre condotta da Valore D – hanno confermato che, nonostante la fatica e le incertezze legate alla ripartenza, l’emergenza ha permesso di trovare nuovi modi di lavorare, ha fatto riscoprire il valore della socialità e ci ha ricorda to priorità che avevamo accantonate. Sono in prevalenza le donne – e in particolare le madri – a ritenere che questa emergenza ci lascerà in eredità modi di lavorare che prima non pensavamo possibili e a credere che verrà riscoperta una scala di priorità di cui ci eravamo dimenticati, oltre al piacere di stare insieme fisicamente e non più virtualmente. Abbiamo chiesto a Barbara Falcomer qual è adesso l’opportunità da cogliere e il rischio da evitare: «Le aziende hanno capito che si può fare e che c’è una base concreta per superare la logica del controllo: si può lavorare in modo efficace e disciplinato da casa. Il rischio invece è quello di fare un passo indietro: se questa situazione dovesse in qualche modo continuare a esser sostenuta da un punto di vista familiare prevalentemente dalle donne, si rischierebbe di acutizzare il problema del gender pay gap relegando le professioniste a percorsi di carriera secondari»